Se hai fatto un giro nei mercati o supermercati durante l’inverno, avrai sicuramente notato cassette colme di agrumi: mandarini, clementine e mandaranci, tanto simili alla vista, ma ben diversi al palato. Alcuni sono dolci, pieni di succo; altri più pungenti e aromatici. Strano? No, è tutta una questione di origini – incroci genetici vari tra mandarino, pomelo e cedro spiegano queste sfumature. Esperti del settore, che da anni studiano questi frutti, confermano che il sapore non è l’unica differenza: dalla composizione chimica alla presenza più o meno marcata di semi, chi compra agrumi spesso coglie queste distinzioni, pure senza pensarci troppo. Ecco allora cosa c’è dietro quella che sembra una semplice scelta in reparto.
Le differenze genetiche e chimiche fra mandarini, clementine e mandaranci
Alla base del loro diversificato profilo c’è una rete complessa di incroci genetici. La clementina, ad esempio, nasce dall’incontro tra un mandarino mediterraneo e un’arancia dolce – che, a sua volta, è frutto dell’unione di mandarino e pomelo. Il motivo del successo? Un sapore lievemente più dolce, acidità quasi scomparsa e pochissimi semi, elementi che piacciono a tantissimi appassionati di frutta fresca. Il valore di pH racconta bene questa differenza: per la clementina si aggira intorno a 4.5, mentre mandaranci e tangor possono arrivare a un pH più basso, circa 3.5, segnalando maggior acidità e un gusto più deciso.

Oltre al pH, ci sono studi che mettono in luce il diverso equilibrio tra zuccheri e acidità, noto come indice di maturazione: più alto nelle clementine, che risultano quindi più morbide e dolci, con zuccheri fra 12 e 14,4 °Brix. I mandaranci invece giocano con una certa variabilità, spesso evidenziando acidità spiccata; pensa al mandarancio Ortanique, che può registrare valori fino a 35,8 g/L. Tutto questo spiega quel riconoscimento al palato diverso, soprattutto durante il freddo invernale.
Parliamo di aroma: elemento che ogni appassionato nota, anche senza sapere esattamente perché. Qui il mandarino ha più γ-terpinene, responsabile di un sentore più erbaceo e meno zuccherino. La clementina, invece, si distingue per il limonene – che può superare il 90% nel profilo aromatico –, regalando quel profumo fresco e pulito, tipico degli agrumi che troviamo sul banco. Non è una questione astratta, lo si sente eccome, e la stagione poi – come spesso accade – amplifica queste differenze.
L’innovazione degli ibridi: Tacle, Clara e il futuro degli agrumi
Negli ultimissimi anni, la ricerca ha spostato l’attenzione su nuovi ibridi capaci di miscelare gusto, facilità di consumazione e nutrienti interessanti. Ne sono esempi le varietà Tacle e Clara, nate dalla mescolanza tra clementina e arancia Tarocco. Questi mandaranci “rossi” colpiscono per il colore acceso e la buccia che si stacca senza fatica – dettaglio non da poco per chi li sceglie ogni giorno. Il sapore? Ben bilanciato, con tanto succo: caratteristiche che li rendono ideali anche in cucina.
Parlando di proprietà nutrizionali, le analisi più recenti confermano un rendimento di succo vicino al 48% per Clara, e un contenuto di vitamina C superiore a 75 mg ogni 100 ml. Numeri non da poco, considerando i benefici per la salute. Aggiungiamo anche pigmenti come le antocianine e le cianidine: potenti antiossidanti naturali, preziosi nella lotta contro lo stress ossidativo. Non sono dei semplici agrumi nuovi, ma portano avanti una qualità che unisce gusto autentico e valore nutrizionale reale.
Pur essendo catalogati tra i mandaranci, Tacle e Clara mostrano differenze nette in aroma, composizione chimica e consistenza della buccia – quest’ultima spesso più sottile e delicata. Si tratta di ibridi intelligenti, frutto di un lavoro concreto della ricerca che, dal Sud Italia in su, si adatta alle preferenze del mercato. Insomma, chi oggi compra agrumi può riconoscere queste novità al primo sguardo e gustarsi il frutto di una tradizione agrumicola che si rinnova, offrendo sapori inediti e proprietà senza tralasciare praticità e qualità.